«Meucci? Meucci, dico a lei!»«Cosa?»«Alla cattedra».«Alla… ma io, veramente… non lo sapevo, che oggi interrogava…»«Io interrogo sempre, Meucci. E poi di…
Fiori Blu – Racconti
-
-
“Cologno aveva usato una parola che a noi in bocca non ci sapeva stare, non a noi ragazzetti che ancora guardavamo il metro e trenta come traguardo irraggiungibile, nonostante ci tenessimo sollevati sulle punte delle nostre Nike Shox ricevute come regalo della prima comunione. (…) Cologno non si chiamava veramente Cologno ma ci aveva detto lui di chiamarlo Cologno (…) Diceva che aveva scelto Cologno come nome non perché Cologno era il luogo dal quale veniva, ma perché era il luogo da cui voleva andarsene”.
-
Aldo aveva settant’anni ma ne dimostrava cinquanta, grazie all’egoismo imperturbabile che aveva esercitato per tutta la vita, senza mai cedere al minimo dubbio. E grazie anche alla brillantina Linetti con cui impomatava i capelli, ancora tutti neri, ogni giorno al mattino: barba, dopobarba Prep, acqua di Colonia, brillantina.
-
Dopo pranzo soprattutto: forse la digestione, con la glicemia che si alza; forse un bicchiere in più di vino a tavola o una pastiglia presa tardi; forse il caffè o, forse, solamente l’ora, che sembra quella giusta.
-
Due call per il 2021: call di racconti (scadenza entro e non oltre le ore 23.59 del 31 gennaio) e call di illustratori (scadenza entro e non oltre le ore 23.59 del 31 gennaio). Vi aspettiamo!
-
“Ormai è un mese che mamma è ricoverata alla RSA. Lui non ce la voleva portare, voleva che tornasse a casa, ma faceva fatica a respirare, soffocava nel sonno. Si era alzato ed era entrato in camera di lei. Non appena lo aveva visto aveva cominciato a balbettare del supermercato: cosa ci fa il mio letto nel supermercato, diceva spaventata”.
-
“Seduti su una panchina di un locale in un parco vicini allo stadio con un cestino di plastica avvolto in carta da forno e ripieno di fritto misto, indifferenti al film di Hitchcock che viene proiettato ad una quindicina di metri di distanza e osservato da un pubblico sonnacchioso, Lo Bue sta raccontando che:”
-
di Deborah Foss
“Attaccare una corda al lampadario e impiccarsi. Non sono riuscito a portarli tutti qui, i miei libri. Molti sono rimasti a casa di mio padre, ma li so quasi a memoria. Quando cito qualche passo tutti mi guardano e strizzano gli occhi. Non colgono, non ricordano. Ignoranti. (…) Aprire l’armadietto dei medicinali e ingoiarli tutti”. -
Arianna voleva solo vedere cosa ci fosse dietro quella porta. Ma non ci riuscì, né all’ospedale né alla sala parrocchiale. Però sua mamma da quel giorno non la vide più, né quando rientrava a casa, né davanti ai film in bianco e nero del lunedì sera.
-
Da bambina, parlavo una lingua tutta mia, e le cose, quando le chiamavo, prendevano vita e parlavano solo a me: solo io potevo capirle. Poi ho visto tanti dottori, ho fatto tanti esercizi e, pian piano, le parole degli altri sono diventate se non facili, possibili. Ancora oggi, spesso, non parlo bene. (…) Per questo, adesso, David è il mio taríto, non “marito”. Lui mi corregge, quando dico taríto, ma non capisce: taríto, nella mia lingua, vuol dire molto di più.
-
Il nonno diceva sempre che per quanto un uomo ritenga d’aver condotto un’esistenza felice, questa non sarà altro, in fondo, che una mera collezione di miserie. Persona saggia, il nonno. Diabete. Crohn. Giallognolo. E poi cenere. Per lui avevo preso una febbre da 42 gradi. Visioni. Avrebbe voluto avere una vigna, sempre. Non ha fatto in tempo a vederla. Nemmeno in foto. Fortunatamente.
-
Per lavoro accoglievo persone non vedenti all’aeroporto Kennedy e le accompagnavo a un istituto caritatevole nei pressi di Troy, New York. Era una specie di scuola dove a ogni non vedente veniva affiancato un cane guida per imparare a lavorare insieme.