Una scatola

di Alexander Onoff

Il paradosso dei detersivi prevede che l’ultimo detersivo immesso sul mercato pulisca e disinfetti più dei normali detersivi, categoria di cui farà però immancabilmente parte all’arrivo di un nuovo prodotto, ancora più pulente e disinfettante. Biancor elimina il 99% delle macchie e Biancor Plus, uscito cinque anni dopo, elimina il 90% in più di macchie dei normali detersivi come Biancor, ormai obsoleto. Nel 2060 la percentuale di efficacia di un nuovo detersivo sulle macchie sarà il 250% rispetto al corrispettivo del 2020. Questa infinita corsa tra Achille e la tartatuga ci dice una sola cosa: i produttori di detersivi sanno che ci macchieremo sempre di più o in modo diverso; possono leggere il futuro.

Ma il paradosso, caro mio, non esiste, è pura speculazione promozionale. Il tuo Biancor del 2060 pulirà esattamente come quello di oggi, non dubitarne. La tecnologia avrà fatto passi in avanti ma i vestiti si produrranno sempre nello stesso modo, il cotone sarà sempre cotone, la lana sarà sempre lana e così via.

Qui ti sbagli, i vestiti costeranno sempre meno, la tecnologia permetterà di realizzare t-shirt con materiali di scarto, forse anche tossici. Nel 2060 indosseremo maglie di ossa di uccelli, giacche di scorie nucleari, e le aziende produttrici di detersivi dovranno per forza adeguarsi.

Potresti provare a pulire la tua maglia sintetica con un detersivo del 1970, dovrei averne una scatola ancora integra nella soffitta di casa di mia madre.

Nessuno, in quell’ufficio composto da sole due persone, aveva effettuato un ordine, eppure il corriere dinoccolato fece il suo solito ingresso deciso, gettando un foglio davanti a Alfio e chiedendogli di firmarlo.

Né lui né Giorgio ebbero il tempo di chiedere spiegazioni, il corriere stava già trascinando il suo corpo verso la promessa di un altro parcheggio in doppia fila. Il pacco si presentava perfettamente cubico, stranamente integro, come se fosse stato conservato con cura nel camion, avvolto nel pluriball e riposto lontano da altre consegne più grandi o pesanti. L’indirizzo di spedizione era corretto, il nome dell’azienda era scritto in caratteri morbidi, linee dipinte dalla penna di un mittente calmo e appassionato, ma proprio la parte del mittente si era squagliata a causa del contatto, pensarono i due, con un caffè bollente. I corrieri lasciavano sempre a loro i pacchi a causa della posizione dell’ufficio, dirimpetto al banco accoglienza che era però coperto da un pannello di vetro satinato capace di escluderlo alla vista dei mammiferi. La loro porta era sempre aperta, le vetrate lucide, ed entrambi non lasciavano l’ufficio se non per necessità fisiologiche o alimentari. 

Potrebbe essere l’ennesima macchina del caffè di quelli di sopra.

Ma potrebbe anche essere la nuova lampada del direttore.

Il terrore irrorò i loro occhi di sangue.

Doveva essere di bronzo la lampada, vero?

Con i palmi delle mani stretti sui due lati dell’enorme dado, Alfio sollevò la scatola senza particolare problema.

Non può essere la lampada.

Potrebbe comunque essere qualcosa di importante, alcuni uffici non ci avvertono mai dei loro ordini.

Dici che è importante solo perché è un pacco perfettamente cubico.

Non è normale. Hai presente quelli che portano di solito?

Calò il silenzio. Ognuno proseguì per suo conto l’interrogatorio alla scatola, immaginandone il contenuto prezioso, luminoso, oppure microscopico e fragilissimo. Alfio, che l’aveva sollevata, ipotizzò che contenesse un unico oggetto posto al centro e circondato da cartone appollottolato o sacche di plastica gonfiabili. Giorgio era attratto a tal punto dai suoi spigoli aguzzi e dalla perfezione dei lati di ognuna delle sei facce quadrate che tirò fuori il metro a nastro dal cassetto della scrivania e le volle misurare.

Ogni lato misura esattamente 62 centimetri, 0,2 metri cubi di volume totale.

Alfio non si accorse della velocità con cui il suo collega aveva portato a termine l’operazione, impegnato a passare in rassegna una serie infinita di possibili forme dell’oggetto, il cui unico tratto comune era una superficie perfettamente levigata, come se la scatola fosse la proiezione fedele, seppur povera, delle qualità strutturali che loro attribuivano al contenuto. Alfio prese la scatola e la sollevò nuovamente come per mostrarla ai fedeli di una chiesa invisibile, poi chiuse gli occhi invitando tutti a compiere una preghiera trascendentale. Infine, dopo qualche secondo di estasi, la pose sul tavolo con grazia, senza generare alcun rumore.

L’interno è in equilibrio perfetto. Ciò che sta all’interno sembra sorretto da fili tesi a partire da ognuno degli spigoli interni, fili sottili eppure resistenti. Niente sacche di aria, il contenuto della scatola è il suo cuore.

L’hai sentito pulsare?

Non essere ridicolo.

Il cartellino adesivo. Come possono essersi dissolte le lettere senza che ci sia alcun segno sulla scatola? E come può essere rimasta integra la parte del destinatario?

Fai domande inutili, l’esistenza della scatola rappresenta già la risposta. Il cartellino è così e non potrebbe essere altrimenti.

La bocca di Giorgio si aprì nel tentativo di controbattere per poi bloccarsi a metà della prima lettera. Frugò nell’ultimo cassetto della scrivania ed estrasse una lente di ingrandimento rimasta sepolta sotto decine di documenti e destinata a scomparire al prossimo trasloco. Prima di analizzare l’etichetta misurò la distanza di ogni angolo dal vertice della scatola, trovando perfetta equivalenza tra i quattro valori. Chiunque l’avesse incollata alla faccia non poteva aver compiuto un gesto distratto, a meno di ipotizzare una casualità geometrica prossima al miracolo; d’altronde poteva anche trattarsi di un automatismo portato all’estremo, una consuetudine lavorativa trasformata, dal cervello, in formula matematica. Soddisfatto per la scoperta, cominciò a sondare la parte illeggibile. Le lettere avevano perso l’inchiostro che le aveva generate, ma Giorgio pensò che la carta potesse aver conservato, come una Sindone, il segno della pressione.

Il numero civico è 11!

L’improvvisa esplosione di gioia interruppe la meditazione a occhi aperti di Alfio.

Ne sei certo?

Senza dubbio, si tratta di due segni verticali identici, potrebbero essere dei 7 ma non vedo deviazione nei tratti, nessuna curvatura; due segmenti perfettamente perpendicolari alla base ognuno chiuso, in alto, da un’onda microscopica che quasi si fonde con lo stelo.

L’euforia durò giusto il tempo di individuare la T finale del nome del mittente e poi si spense come la fiammella di un cerino. Nessun altro segno poteva essere interpretato, restavano disciolti sul foglietto coperto da un velo di plastica adesiva, ora simile a un acquerello insondabile.

Squillò il telefono, Giorgio riconobbe la voce di un collega degli uffici al piano superiore. Alfio si concentrò sulle micro-espressioni del volto per interpretare il contenuto della conversazione. Dei 34 secondi della telefonata Giorgio ne aveva utilizzato solo uno: pronto e ok erano state le uniche parole profferite.

Dicono che dobbiamo portargli la scatola.

Chi?

Quelli di sopra.

E non ti hanno chiesto nulla? Come sapevano che era arrivata?

Non lo so ma lo sapevano.

Seduti uno davanti all’altro, con la scatola a regnare sul tavolo, oggetto perfetto capace di assorbire la luce della ragione delle persone attorno, Alfio e Giorgio decisero all’unisono, senza parlarsi, che non avrebbero sopportato quell’ingiustizia. La scatola non avrebbe lasciato quell’ufficio.

Ha mai pensato a quanto sia iniquo il lavoro che facciamo? Non siamo liberi, non possiamo creare e inoltre ci rovesciano addosso un numero esorbitante di responsabilità.

Non siamo obbligati a farlo.

È vero, non lo siamo, ma abbiamo scelta?

Non è l’unico lavoro al mondo.

No ma ci pagano bene e puntualmente.

È questo che ti piace? La puntualità? Il bonifico che arriva sempre il 10 del mese o adirittura prima, la tranquillità che ne deriva, il gioco di sognare nuovi modi per spendere i soldi o risparmiarli? Pensi che sia davvero questo l’unico e ultimo scopo della nostra vita?

Penso che qualunque scopo abbia bisogno di un mezzo, il mio corpo è il mezzo attraverso cui raggiungo il mio scopo primario, vivere.

Ma è anche quello che ti porterà alla morte. Noi siamo esseri infiniti che il corpo lega a un tempo, non dovremmo avere uno scopo ma solo passare, navigare nelle ere, provare gioia e tristezza lungo un nastro di Moebius.

Dobbiamo prendere una decisione.

La scatola resta qua.

La scatola resta qua, fino a quando non avremmo capito cos’è.

Il telefono squillò nuovamente. Entrambi attesero che smettesse, poi Giorgio alzò la cornetta e la ripose lontana dalla base, mentre Alfio si occupava di chiudere a chiave l’ufficio dall’interno.

Proveranno ad entrare, lo sai vero?

Sì, lo faranno, e noi saremo pronti.

Finché la scatola resta qua non potranno farci niente.

Finché la scatola resta qua non potranno farci niente.

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