La quercia di Bruegel

di Luca Giommoni

La quercia di Bruegel, Alessandro Zaccuri, Aboca, 2021

Io e Bruegel il Vecchio ultimamente ci incontriamo spesso, forse prima o poi capirò perché. È successo ne La parabola dei ciechi di Gert Hofmann. È successo di nuovo ne La quercia di Bruegel di Alessandro Zaccuri, e in entrambi i casi sfogliare le pagine è stato un po’ come camminare in un’opera d’arte.
Se lo scrittore tedesco dà voce all’omonimo dipinto, narrando, attraverso un’odissea sgangherata quanto tragica, il viaggio dei sei ciechi che vanno a farsi ritrarre dal pittore fiammingo, Zaccuri preferisce ascoltare i bisbigli impercettibili nelle tele dell’artista, recuperando mondi dal particolare, dal dettaglio in sottofondo che molto spesso sfugge all’attenzione di chi guarda.

La quercia di Bruegel fa parte dell’interessantissima collana “Il bosco degli scrittori”, che invito a visitare, della casa editrice Aboca, e non c’è da stupirsi se il cuore del romanzo breve di Zaccuri batte intorno a un albero, dipinto per l’appunto dalla mano del buon Bruegel il Vecchio.
Il libro racconta di uno scrittore che per campare inventa eteronimi cui fa scrivere biografie romanzate di artisti famosi. A seguito di un attentato terroristico si ritrova bloccato in un albergo a Bruxelles, dove è stato mandato dall’editore per procacciarsi l’ispirazione per la sua prossima opera: l’ennesima biografia riadattata per il grande pubblico su Bruegel e i suoi figli.
Da segnalare come, sia in apertura che in chiusura, Zaccuri con una scrittura concentrata, non soggetta a superflue divagazioni, riesca a far diventare protagonista invisibile, senza disturbare la narrazione principale, l’attualità più violenta. All’inizio con gli attentati terroristici avvenuti a Bruxelles nel 2016, nel finale con la recente pandemia. Cause sufficienti e necessarie per mettere in atto restrizioni e reclusioni proprio come quella in cui il protagonista incontra, nella hall dell’albergo, Matilde, neurologa, anche lei nella capitale belga per raccogliere materiale sulle opere di Bruegel, ma per motivi completamente diversi. Matilde infatti, tramite delle prove con le arti figurative, riesce a delimitare il disturbo di percezione da cui sono affetti i suoi pazienti, a eccezione di Massimo, ex dirigente di successo che in seguito a un incidente sciistico sviluppa gravi disturbi percettivi, che nell’Origine del mondo di Courbet non riesce a vedere assolutamente niente, che anche nelle opere di Bruegel il Vecchio, tra cui l’Adorazione dei magi, La parabola dei ciechi, Battaglia tra Quaresima e Carnevale, Il ritorno dei cacciatori, non riesce a distinguere nulla, a eccezione però di un piccolo particolare: un albero.

Se il protagonista, nella ricerca di capire cosa significhi per Massimo quel singolo albero, sembra più interessato a ricostruire o architettare, tra i vari dipinti, ricami narrativi propedeutici al suo prossimo progetto, Matilde è invece spinta a scoprire la verità, non tanto per scopi terapeutici quanto per una ragione invisibile come l’immaginazione ma che si può toccare come una storia d’amore. E intanto Zaccuri ci accompagna all’interno delle tele del pittore, davanti a campi visivi inediti da dove poter vedere particolari impercettibili, per farci vedere “altri alberi al di là di quelli che vediamo”, per mostrarci, come scriveva il mai troppo citato Italo Calvino, “la quantità di cose che si possono leggere in un pezzetto di legno”, arrivando a farci desiderare di toccare quel legno, quella materia invisibile che, per diventare arte, è stata domata.

[Immagine di copertina: Gazza sulla forca, Pieter Bruegel il Vecchio, 1568]

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