Dieci e Il Bardo Balordo. Il fumetto oltre i bordi

di Salvatore Cherchi

Quando si diventa un personaggio di riferimento in ogni campo dello scibile umano, si finisce per essere lodati e santificati in maniera finanche stucchevole o, d’inverso, criticati e sminuiti con crescente sprezzo e cattiveria, quasi fosse impossibile godersi l’opera di un autore accettando l’insieme di imperfezioni che la caratterizza, il suo essere potenzialmente fallimentare all’interno di una scala di possibilità che la rendono superiore o inferiore a qualsiasi cosa vi sia di simile.

Si tratta perlopiù di polarizzazioni che nascono e si esauriscono sul web, un luogo che non sembra più essere quella rete di nodi e link ma, come nella teoria del multiverso, un luogo formato da un insieme di bolle che al loro interno seguono la propria linea spazio-temporale, impossibilitate a interessarsi di cosa avviene nelle altre.

Nella mia ad esempio, le ultime settimane di novembre di questo 2021 sono state polarizzate dai commenti sulla serie d’animazione Strappare lungo i bordi, creata da Zerocalcare per Netflix. Una serie godibile e ben fatta, benché non aggiunga molto ai contenuti già noti di Zerocalcare. È sempre lui, da La profezia dell’armadillo sino a Macerie prime, passando per tutto quello che c’è stato in mezzo: Il blog, Kobane Calling, le storie su L’Espresso e Internazionale. Solo che qui lo vediamo animato, e animato bene, si aggiunga. 

Una trasposizione fedele – nell’impostazione, nel ritmo, nei linguaggi, nei temi – del calcareverse, in grado di non tradire le aspettative dei fan più incalliti e capace di aprirsi amabilmente a un pubblico che ancora non lo conosceva. Anche se dentro la mia bolla non conoscere Zerocalcare pare assurdo, devo accettare che, secondo la teoria del multiverso di cui sopra, esistono luoghi in cui il fumettista romano era, fino a ieri, un signor nessuno. 

Forse sono luoghi abitati da persone che nel 2011, quando Calcare aprì il suo blog, non avevano sviluppato le facoltà cognitive per accedere a Internet o, se anche le avevano sviluppate, non erano pronte a cogliere il senso ultimo dei suoi fumetti. E un po’ le invidio, queste persone, visto che nel mio, di universo, si è arrivati, da una parte, a definire Zerocalcare un venduto al capitale pronto lasciare i centri sociali e Rebibbia per appollaiarsi su uno yacht a sfondarsi di Plumcake; e dall’altra, a definirlo il salvatore delle patrie graphic-novel, perché se non c’era lui cosa mai avremmo letto.

Appunto, cosa avremmo letto? 

Ad esempio, a me è capitato di leggere Dieci, una raccolta di storie edita da una delle più longeve fanzine web dedicate al mondo del fumetto, “Mammaiuto”, che compie 10 anni di intensa attività. Per festeggiare, a ottobre ha pubblicato un volume che raccoglie 10 storie di 10 pagine ciascuna scritte e illustrate dai 10 autori del blog. E viene venduto al prezzo di 10 euro.

Dieci è un caleidoscopio di stili e narrazioni: c’è la fantascienza, il noir, il fantasy, il western, la biografia sportiva, la storia di formazione. Ogni storia condensa in sé la personale visione dell’autore e dell’autrice, restituendo un affresco corale ma tenuto insieme da una precisa scelta estetica: tutte le storie sono colorate con una tavolozza di colori pastello che variano dal blu all’arancio. Una bicromia che sia fa ora più cupa e pesante, ora più tenue e sfumata, ora più accesa e definitiva, adattandosi via via alle atmosfere delle storie, ma ancorando la lettura a un unico flusso visivo, capace di unire dieci voci diverse in una, rappresentando così il senso finale del collettivo. Una scelta che ho apprezzato molto, e che sottolinea la qualità e l’esperienza degli autori di Mammaiuto.

Da sinistra verso destra: “Zenit” (Samuel Davetti); “La vetta della solitudine” (Francesco Rossi); “Uno punto zero zero” (Giusy Gallizia); “Cantico dei complici” (Lorenzo Palloni)

Sempre in questo 2021, ho letto Il Bardo Balordo & le sue novelle infami, del collettivo di illustratori e fumettisti “I Balordi”. Si tratta di una raccolta di novelle autoconclusive, introdotte e legate tra loro da un oste d’eccezione: il Bardo Balordo, appunto, che come un novello Uncle Creepy, ci porta dentro numerosi universi dalle tinte oscure e weird.

Come già nel volume Dieci di Mammaiuto, anche qui gli stili degli autori sono molto differenti tra loro. Si va dal tratto caricaturale a quello minimale, passando per il manierismo grottesco e il 2D videoludico. Il livello qualitativo della messa in scena è di alto livello. Non mancano, da parte degli autori, citazioni e riferimenti che spaziano da Adventure Time al Berserk di Kentaro Miura, passando per maestri come Junji Ito, Robert Crumb e Richard Corben.

La potenza espressiva del Bardo è data soprattutto dalla sua capacità di rispettare i canoni stilistici e narrativi entro cui si muove, senza mostrare un’eccessiva reverenza verso i maestri del genere. Rifiutandosi di prendersi troppo sul serio, spinge le storie al limite del parossistico sia nell’estetica che nei contenuti. A dimostrazione di come l’operazione non si limiti a essere uno spazio neutro, in cui gli autori si liberano dei paletti editoriali per dar libera espressione alla propria truce vena creativa, ma sia anche un modo per rendere omaggio a un particolare genere narrativo di cui quegli stessi autori sembrano essere fini conoscitori.

Da sinistra verso destra: “L’eroe dimezzato” (Gianluca Borg Borgogni); “Hrtan” (Nalsco D’Asfalto); “All’avventura a tutti i Costi!” (Armin Barducci); “Il Castello del Dottor Antimorte!” (Marco Fontanili)

Sia Dieci che il Bardo Balordo sono due autoproduzioni, un sistema di pubblicazione molto diffuso nel mondo fumetto, capace di regalare piccole gemme che mostrano come la tradizione di matite e inchiostri, qui da noi, sia più che mai viva e vitale, anche oltre un autore come Zerocalcare. Dato il peso raggiunto dalla popolarità di quest’ultimo infatti, stare a dibattere se sia o meno un genio diventa un esercizio fine a se stesso, che lascia in secondo piano l’opera e finisce per parlare di noi, quali personaggi di morettiana memoria, risucchiati in una spirale di auto-fiction necessaria al nostro posizionamento nel mercato dell’opinione e dell’attenzione.

Come mostrano Dieci e il Bardo Balordo invece, a volte le storie sono belle perché, per quanto personali e autoriali, restano appunto storie. Storie che non vogliono necessariamente insegnare qualcosa, né vogliono intercettare lo spirito dei tempi, né parlare del nostro fallimento in senso universale-generazionale. Ma restano storie che vogliono semplicemente raccontarci qualcosa per il puro piacere di farlo. E nel momento in cui chiudiamo l’opera, ci sentiamo appagati e soddisfatti, come dopo un buon pasto. E va bene così, senza andare oltre, senza aggiungere altro, senza sentirsi in dovere di trovare un necessario punto di riferimento cui aggrapparci per salvare le nostre esistenze.


[La copertina di Dieci è di Margherita Morotti. Il fumetto si può acquistare qui]

[La copertina de Il Bardo Balordo e le sue novelle infami è di Pablo Cammello. Il fumetto si può acquistare contattando il collettivo I Balordi]

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