Diario metafisico di un terrorista o di come distruggere i pregiudizi

di Giulia Sabella
Diario metafisico di un terrorista

“Non dormo da quattro giorni ormai, ma ripasso per la milionesima volta il piano. Lo so a memoria, anche meglio delle preghiere”. Scrive così Babu il giorno prima dell’attentato pianificato per fare strage di infedeli. Sulla sua strada però troverà un piccolo ostacolo: la mattina dopo la sveglia non suonerà. 
In “Diario metafisico di un terrorista” Michele Dessì mette insieme tutti i pregiudizi e i luoghi comuni che avvolgono l’Africa e i migranti, e con un piglio ironico traccia la storia di Babu, nato in un Paese non meglio identificato, sopravvissuto a guerre civili, massacri, campi profughi, naufragi, e poi convertitosi all’Islam al suo arrivo in Europa. 

Come è nata l’idea del libro?

Il libro è nato sulla base delle mie esperienze personali, un po’ per gioco e un po’ no. Durante l’operazione Mare Nostrum ho lavorato in un centro di accoglienza per migranti a Bologna. In quel periodo c’erano vari partiti che dicevano che i terroristi arrivavano con i barconi, e dato che tra quei migranti di terroristi io non ne vedevo ho pensato che fosse il caso di crearne uno ad hoc. Il libro poi l’ho scritto in Africa, quando sono stato in Kenya e Tanzania. Ero andato con una Ong che si occupava di cucina sostenibile e lì poi ho organizzato festival di cinema, di teatro, ma la situazione non era semplicissima.

Una delle caratteristiche di questo libro è proprio l’umorismo nero con il quale vengono raccontate le varie vicende.  

Io credo moltissimo nella satira e nell’umorismo, ci ho fatto anche degli studi per la tesi. In passato ho scritto per il teatro usando un tono simile e lo volevo mantenere anche qui. Mi sembrava in particolare che l’umorismo nero fosse l’unico modo per rendere affrontabili delle situazioni che di per sé sono molto pesanti. Anche se il tono che uso è ironico e molto esagerato, purtroppo quelli che descrivo nel romanzo sono fatti che in un modo o nell’altro sono accaduti e sono documentabili. Il personaggio è fittizio ma quello che vede e ciò gli succede nelle guerre civili, durante il viaggio e in Libia, sono tutte cose reali. 

Come è nato il tuo protagonista?

In parte dalla mia esperienza in Africa, prendendo spunto dalle zone più povere in cui sono stato. In particolare ricordo un bambino dalla faccia buffissima, e quindi ho iniziato descrivendo lui. Per creare la parte del terrorista ho invece ripensato a quando ci sono stati gli attentati a Bruxelles: io là avevo molti amici e la notizia mi colpì molto. Inoltre negli anni di lavoro nel centro di accoglienza in Italia ho incontrato migliaia di persone, e alcune di queste si sono sfogate con me, raccontandomi della loro vita, delle cose terribili che erano successe a loro, ai loro familiari. Volevo assolutamente fermare su carta questa mole di sofferenza che mi era stata riversata addosso. 

Nel libro giochi con i pregiudizi che circondano i migranti, portandoli all’estremo: questo è anche un modo per distruggerli. 

È proprio così. Per me è fondamentale portarli all’esagerazione, in modo da smantellarli, per mostrare che quei pregiudizi sono talmente stupidi che va bene scherzarci sopra. Vorrei così riuscire a smantellare i preconcetti del mio lettore, chiunque sia, di destra o di sinistra. 

Non mancano nel tuo libro anche dei riferimenti letterari. 

Sì, ci sono numerosi citazioni e richiami. Per la parte del naufragio ho preso dei pezzi dell’Odissea,  e poi Walt Whitman, Moby Dick, le vecchie storie del mare che raccontano i pescatori, e ci sono anche dei rimandi a Mahmoudan Hawad, un bravissimo poeta del Niger. 

La pubblicazione del tuo libro è coincisa con l’inizio del lockdown. Quanto è stato difficile promuoverlo? 

È stato un disastro. Il mio debutto nell’editoria doveva iniziare con una presentazione alla Feltrinelli di Bologna che però venne cancellata per il lockdown. Quando non sono dal vivo mi è difficile essere loquace, e poi su Internet ci sono tantissimi eventi, e immagino anche che la gente a un certo punto si stanchi di stare davanti a uno schermo e decida di fare altro. Qualche amico ha detto che hanno inventato la pandemia per proibire la diffusione del mio libro… i dietrologisti si sono scatenati. Spero di poter tornare ad andare in giro, a conoscere le persone, che è una cosa che mi stimola sempre tanto. 

Foto di katja da Pixabay

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