Vi hanno già consigliato cosa leggere questa estate, anche quando non avevate chiesto consigli. Siete perseguitati, lo sappiamo, ma la nostra lista di letture estive è diversa da tutte le altre. Perché? Perché questi libri non sono ancora stati scritti. Potrete quindi vantarvi di fronte ad amici e colleghi dicendo di averli letti quando in realtà ve ne stavate a nuotare, a dormire, a esplorare, a fare castelli di sabbia, a lobotomizzarvi davanti a Netflix… insomma, a fare quel che vi pare, finalmente. Potrete mentire spudoratamente senza avere sensi di colpa. Chi altro può vantare una lista di consigli così?
Joannes Petterburg, L’alluce valgo del signor Pininton (Eupetra Editore) – Se vi fosse piaciuto Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve, allora è vostro dovere leggere questo classico della letteratura svedese, capostipite di quella genia di romanzi da ombrellone che giustamente hanno venduto milioni di copie dagli anni 60 in poi. E non a caso L’alluce valgo del signor Pininton uscì nell’ormai lontano 1959, diventando il libro più venduto della scandinavia fino al 1989, quando le vicende continentali (in particolare il crollo del muro di Berlino) spostarono l’attenzione su libri più seri, ma non per questo più intelligenti. Oggi il suo stile ironico e la sua sensibilità ambientalista meriterebbero forse una maggiore attenzione, ma le case editrici hanno temuto per le reazioni dei lettori di fiducia nel pubblicare un autore trovato soffocato all’età di ottantatré anni nel letto di un Motel statunitense, non troppo lontano da Chicago, completamente nudo e con mani e gambe legate in un unico, soffice nodo. Ha posto rimedio a questa vergognosa lacuna dei cataloghi italiani Eupetra Editore, con una nuova e ben più accurata traduzione realizzata da Giacomo Van Hoffen, vincitore del Primo Premio Nazionale dei Traduttori di Taranto proprio con la geniale, ironica e indimenticabile vita del signor Pininton. Secondo noi uno dei migliori regali che potrete farvi questa estate.
Andreas Bauer, Apnea (Edizioni Uh?) – Apnea è un thriller psicologico in tre volumi incentrato sulle vicende di Lukian, un giovane pesce rosso la cui vita viene sconvolta quando viene comprato dalla segretaria di un avvocato che lo porta nell’acquario dello studio legale dove lavora. Insieme a lui viene casualmente preso anche Julian, il fratello-nemesi di Lukian. I due, abbandonato il negozio di animali dove vivevano con gli altri fratelli, si trovano a dover affrontare i propri contrasti. Di fronte alle continue angherie di Julian, Lukian scivola lentamente nella follia e, in una notte di agosto, arriva ad uccidere il fratello usando come arma un tridente di plastica posto nell’acquario a scopo decorativo. Lukian si troverà così a dover passare le due settimane di chiusura dello studio legale da solo e lì, osservando il cadavere galleggiante del fratello, capirà che in realtà il peggior nemico di se stesso è sempre stato lui, mentre Julian cercava solo di spronarlo a essere un pesce migliore. Apnea è l’opera prima del giovane scrittore austriaco Andreas Bauer, il quale ha dedicato cinque anni della sua vita a questo romanzo, sacrificando gli affetti e gli studi universitari in Archeologia, e finendo così sul lastrico e solo, proprio come Lukian. All’indomani dell’uscita del libro è partita una raccolta fondi su Change.org per aiutare Bauer a tornare in piedi, trovarsi un lavoro decente e abbandonare per sempre la scrittura. Apnea è pubblicato in Italia da Edizioni Uh? ed è il classico libro da spiaggia, di quelli che si possono abbandonare senza troppe remore accanto all’ombrellone mentre si sta sdraiati sul lettino a postare foto su Instagram senza sentirsi in colpa.
Il Manoscritto Bergmann (Edizioni Malamorte) – Narra la creazione di una falsa identità di autore, tramite l’uso cinico di una serie di collaudati cliché, da parte di Augusto Pesson, navigato editor alle dipendenze della casa editrice Leone, un tempo rinomata, oggi in declino. Dopo 35 anni di onorata carriera, Pesson è allo stremo della noia, afflitto da una calvizie senza scampo e da una malinconia strisciante, provocata dal ripetersi impietoso di guide turistiche, libretti musicali, manuali di self coaching. Finché, una mattina di febbraio, trova sulla scrivania un manoscritto: Vita di Calabria, di Andrea L. Nessun indirizzo, nessun contatto email, nessun cellulare. Solo un numero con prefisso del sud, 0982. Inaspettatamente il romanzo si rivela un capolavoro: racconta una storia di ‘ndragheta, dove un innocente muore e nessuno può parlare, riallacciandosi alla grande tradizione del romanzo d’impegno. Pesson riesce a contattare l’autore, passando dal filtro di una madre calabrese guardinga, ma l’autore vuole restare anonimo: il manoscritto racconta una di quelle verità che ti costano gli affetti, la reputazione e forse anche la vita. Pesson capisce che deve inventarsi un autore degno del manoscritto, e deve inventarselo allettante. Così nasce Andrea Bergmann: nato in Inghilterra da madre italiana e padre tedesco, entrambi ricchissimi, artisti e vicini al Movimento 77. Durante una vacanza in Calabria viene rapito e tenuto sotto sequestro dalla ‘ndrangheta, per un tempo breve ma che gli lascia ferite indelebili. Andrea non si riprende più dal trauma, entra nel tunnel della droga e sfoga la sua depressione maniacale in una creatività malata. Scrive un primo romanzo, ma senza successo, nessuno lo pubblica. Cerca di impegnarsi nel sociale, ma senza costrutto. La droga è più forte della volontà di una vita normale. Si suicida senza essere mai stato in grado di rivelare i nomi dei suoi rapitori. Insomma una via di mezzo tra Jim Morrison, Andrea Pazienza e Aldo Moro.La presentazione è un successo.A beneficio del conto in banca del vero autore: Andrea Loculli, nato ad Acquicella, frazione di Amantea, in provincia di Cosenza, 300 anime di paese, il 10 ottobre 1980. Una volta si era effettivamente perso nei boschi: a 12 anni, sulla Sila, con zio Pino che era quasi morto di infarto e lo aveva cercato fino a sera. Dopo 7 ore lo avevano ritrovato, infreddolito, spaventato, che si era rifugiato su un albero per paura dei lupi. Zio Pino dalla gioia aveva ammazzato il maiale e i festeggiamenti erano durati un mese intero. Quanto alla droga, era qualcosa di esotico e mitologico di cui parlavano quelli di Cosenza.Il romanzo nel romanzo ci narra il contrasto tra la finzione, necessaria al successo editoriale, e la realtà di un dramma riservato e inconoscibile, con l’ulteriore intento di rimarcare lo scarto ironico tra la vita pubblica e la dimensione privata, sublimando in letteratura il concetto di fake, ormai endemico nella nostra società.
Giovanni De Castro, Il manuale del mondo (Ed. Pizzicotto) – “Sembra che Armando abbia acquisito virtù estremamente affascinanti in una sola notte. È sempre lo stesso di sempre ma è come se qualcuno avesse preso il controllo del suo corpo, correggendolo in ogni istante”. Da quando Giovanni De Castro si è dato alla scrittura in prosa, abbandonando momentaneamente la poesia, la sua penna ha scelto la strada del realismo magico. Il suo approccio al genere è peculiare nel panorama della letteratura contemporanea e anche questo Il manuale del mondo ribadisce la sua capacità di sondare il reale alla ricerca di entrate secondarie, di gallerie sotterranee che attraversano il visibile. Chi è l’Armando dell’incipit sopra citato? Un trentacinquenne come tanti, senza particolari vizi né virtù, impiegato in uno degli uffici postali più affollati di Firenze, che una sera trova un enorme libro senza titolo lasciato sotto una delle panchine a disposizione degli utenti. Le pagine sono piene di immagini misteriose e parole che non riesce a decifrare, tanto piccoli sono i caratteri, e l’unica frase leggibile è l’epigrafe In hoc signo vinces. La lente di ingrandimento, regalatagli dal nonno e mai usata, è lo strumento perfetto per scorrere le pagine dove sono riportati, minuziosamente, azioni, regole e comportamenti da seguire nelle circostanze più disparate. “Piantare un platano nell’Europa continentale”, “Parlare a una convention di oncologi”, “Ridere senza sembrare un gabbiano o un altro animale” sono solo alcune delle voci che Armando analizza nella sua camera prima di addormentarsi, esausto, alle prime luci dell’alba. Seguire le istruzioni non è sempre semplice ma i risultati non si fanno attendere: migliorano i rapporti con i colleghi, con il capo, con amici che aveva perduto di vista nel corso degli anni, migliorano i piatti che si cucina e anche le sue prestazioni sessuali. La sua vita sembra cambiare in meglio ma tutto ha un prezzo e Armando lo scoprirà sulla sua pelle.
Bianca Rovente, Non ritrovarono mai il coltello nelle mutande (Ed. Diari Crudi) – Lasciate che il vostro agosto sia sconvolto da questa raccolta di scritti che sembrano essere, a tutti gli effetti, racconti. Il primo fatto sorprendente a riguardo è che la Rovente non è un’esordiente, bensì un’autrice di lunga data, dei cui circa cinquanta volumi precedenti, editi dalle case più varie e prestigiose, inspiegabilmente nessuno pare aver mai sentito parlare. Quest’estate, finalmente, all’alba dei suoi 90 anni, l’autrice irrompe sulla scena letteraria con un libro che, noi crediamo, nessuno dimenticherà facilmente dopo averlo incontrato. Quindici crimini efferati per quindici storie brevi, ognuna con un protagonista diverso e una differente collocazione nello spazio e nel tempo. A unirle, il filo rosso della vendetta, non già quella sottile, perturbante e impalpabile del sadismo psicologico bensì quella sanguinosa e ben evidente che passa per la tortura e spesso l’omicidio. Uno solo tra questi racconti è autobiografico, ma comprensibilmente la Rovente, linda signora rotondetta, non essendo particolarmente desiderosa di guai con la legge – – Se l’ho fatta franca fino a qua… – si è guardata bene dal rivelare quale. Tuttavia, noi crediamo di aver indovinato: provateci pure voi e, se vi va, fateci sapere la vostra ipotesi.
Bazil Fringe, Row Sham Bow (Giana Edizioni) – Per capire la genesi di Row Sham Bow bisogna tornare a inizio secolo, alla seconda guerra boera, alle truppe britanniche impegnate a razziare fattorie per impedire che le scorte di cibo finissero nelle mani nemiche. Proprio in uno di questi violenti rastrellamenti, Bazil Fringe, figlio di allevatori, già spalle al muro, aspettava l’ordine del plotone d’esecuzione, dopo essersi ribellato al sequestro di una faraona cresciuta con lui. Il giovane boero non avrebbe mai scritto niente se il plotone d’esecuzione non fosse stato composto solo da due uomini e se questi due uomini, per pura goliardia bellica, non si fossero giocati la sua vita a morra cinese. Un gioco da bambini salvò la vita a Bazil Fringe e Bazil Fringe dedicò il resto della vita a un gioco da bambini. Row Sham Bow, romanzo autobiografico che spazia nella ricerca culturale, nel romanzo storico, e non privo di passaggi quasi saggistici, racconta il viaggio dell’autore fino in oriente alla ricerca dell’origine del gioco, conosciuto nel mondo anche come Rock Paper Scissors, Sasso Carta Forbici, Roshambo, Rochambeau, Row Sham Bow (da qui il titolo), Ick Ack Ock, Janken, Mora, Gawi Bawi Bo, JanKenPon, Ca Chi Pun, Farkle, Ken Ken Pa, Kai Bai Bo, Bim Bum Bam. L’autore attribuisce il gioco all’epoca della dinastia di Han, più di duemila anni fa, quando due briganti cinesi, per risolvere una disputa, preferirono mimare gli unici tre oggetti che avevano con loro, un sasso, una carta e una forbice, piuttosto che usarli come armi. Fringe si metterà poi sulle tracce di un’ipotetica cittadella ideale, per l’appunto, Row Sham Bow, fondata, secondo le storie raccolte, nel 1700, in una regione dell’estremo oriente, da un drappello di disertori dell’esercito francese guidato da un certo sergente Bertrand, più dedito all’oppio che alla corona, che stabilì di affidare a Sasso Carta Forbici qualsiasi scelta economica, professionale, domestica, sociale e familiare della comunità. Citato dal famoso filosofo e matematico croato Casesco come “Una fluttuante idea sull’applicazione del caso scritta con la prosa di un pomeriggio di metà agosto”, Row Sham Bow è stato recentemente tradotto per la prima volta in italiano da Giana Edizioni, conquistando già l’interesse di una nicchia di seguaci che, dopo averlo letto, si è messa alla ricerca della cittadella raccontata dall’autore, scomparso nel nulla intorno al 1947.Un aneddoto curioso, legato all’edizione italiana, vorrebbe che la traduzione sia stata fatta giocando a Sasso Carta Forbici. Chissà cosa ne penserebbe Bazil Fringe.
Neri Scopellini, “ ” (I Diti Editore) – “ ” di Neri Scopellini è un libro destinato a far parlare di sé. Innanzitutto perché “ ” è un libro che non ha titolo. – E il titolo non è Senza titolo, Non titolato, Untitled – spiega l’autore – è… – e tace. Dopo la polemica che lo ha visto protagonista per essere comparso coi suoi racconti in numerose riviste letterarie di cui, si è scoperto in seguito, lo Scopellini era stato il fondatore sotto falso nome (Vieri Bufalini, Tancredi Lo Mezzo, Cosimo Rampanti ed altri: non esistono), l’autore fiorentino non si è spaventato e ha semmai portato alle estreme conseguenze il suo sperimentalismo formale e contenutistico. “ ” è un testo (Un romanzo? Un saggio filosofico? Una raccolta di racconti non-sense? Sicuramente 13 capitoli) che non si racconta. Ciascuna delle 13 sezioni ha un titolo enigmatico e al contempo concreto, tangibile – “grounded”, commenta lui: “La Vespa”, “Il Dito”, “La Suola”, per citarne alcuni. Ma non compaiono vespe, non appaiono dita, non ci sono scarpe: le parole si affastellano in vorticose piramidi sintattiche e articolati labirinti semantici, che sfidano la punteggiatura per come la conosciamo (lodevoli i punti e virgola del brevissimo eppure potente “.”) e che sembrano non dire niente ma in realtà, ci spiega Tancredi Lo Mezzo nella prefazione, “accompagnano nei tortuosi sentieri non battuti del segno e del significato”. Parole, una dopo l’altra, che si interrompono a vicenda con la punteggiatura, si accavallano con la sintassi, si contraddicono col significato. Immagini oniriche? Interrogativi logici? – Emozioni –, spiega l’autore. Ai detrattori che non apprezzano i suoi virtuosismi, lo Scopellini risponde invitando a leggere Faulkner, la Recherche di Proust e l’Ulisse di Joyce.