Sei numeri più uno

di Luca Giommoni

La signorina Merighi fissava il Presidente della Repubblica. Un po’ più a destra incrociò anche lo sguardo del Santo Padre. Poi la chiamarono.
Il funzionario alzò la testa dalle carte sulla scrivania, dedicò un’occhiata alla signorina Merighi e la invitò a sedersi.
«Maresciallo» esordì lei per rompere il ghiaccio. «Ma non le mette ansia lavorare tutto il giorno sotto gli occhi del Presidente della Repubblica e del Papa?» riferendosi alle fotografie delle due figure istituzionali appese sulla parete, le stesse che aveva visto anche in sala d’attesa, ma con cornici più umili.
«Non sono maresciallo».
«Mi scusi, capitano» disse allora la signorina.
«Neanche capitano» e, prima di un nuovo tentativo, precisò: «Sono un semplice funzionario. Non tutti i dipendenti hanno i gradi, non siamo nei film americani…» ma si dispiacque di aver aggiunto quella spiegazione non necessaria.
«Lo sa perché è qui?» disse poi.
«Per gli incidenti…» bisbigliò la signorina, poi aggiunse: «Io, con il Presidente della Repubblica che mi guarda, mi sentirei in colpa anche a scartare una caramella» e le sfuggì un risolino sincero.
Il funzionario non le badò e proseguì: «La sua compagnia d’assicurazione ci ha segnalato il suo caso, un caso che conoscevamo già bene, soprattutto quelli della Sicurezza Urbana» e si fermò un attimo per osservare l’effetto delle sue parole: la signorina Merighi lo fissava con gli occhi quasi fuori dalle orbite, e lui non capì se fosse una smorfia inappropriata e infantile per canzonarlo o un’espressione di assoluta attenzione.
«È vero» continuò «che la compagnia di assicurazione non ha esposto denuncia, ha solamente segnalato la situazione, precisando che lei ha sempre liquidato puntualmente le quote dovute e tutti i malus. Ha inoltre escluso ogni sospetto di comportamento fraudolento, conclusione cui anche i nostri uffici erano arrivati, considerati il raggio d’azione e nessun collegamento tra lei e i soggetti coinvolti e neanche tra i singoli soggetti coinvolti. In più nessun soggetto coinvolto ha esposto denuncia e chi è stato interpellato ha riferito che lei si è preoccupata personalmente di risarcire, oltre ai danni causati, anche il contrattempo procurato».
«È il minimo» alzò le spalle, la signorina. «Il tempo perso andrebbe sempre rimborsato. È la cosa più importante che non abbiamo».
«Signorina Merighi» continuò il funzionario «i numeri erano già sufficienti per aprire un fascicolo a suo carico. Nell’ultima settimana ha reiterato. Ora è qui per rendere ufficialmente la sua posizione, dopodiché capiremo se chiudere questo fascicolo o aprirne un altro e farlo valutare dalle autorità competenti».
«Ho sempre pagato tutto» si agitò la signorina Merighi, ritenendo giusto aggiungere: «E con qualche soggetto coinvolto siamo diventati perfino amici».
«Lei si rende conto che, in neanche due mesi, con la sua Fiat Panda dell’80, ha tamponato una Mercedes GLC, due Bmw X4. Ha urtato frontalmente una X3, due Bmw serie 3 e una Mercedes Classe E. Non può trattarsi di coincidenze, distrazione, inidoneità: lei ha incidentato tutte auto parcheggiate e tutte di alta gamma. Oltre che una rigida ossessività, sembrerebbe esserci anche un’entità dolosa nelle sue azioni.
«Non ci sono mai stati feriti, ho sempre ripagato…» iniziò la signorina ma il funzionario la fermò subito.
«Il fatto che non ci siano mai stati feriti non implica che lei sia esente da responsabilità e sanzioni. Esiste un ordine da rispettare. Se le sue finanze le permettono di far fronte alle conseguenze questo non l’autorizza a provocarne le cause. Qui non sono i soldi il problema».
«E invece sì» disse lei dispiaciuta, poi guardò dritto negli occhi il funzionario, anche se non era facile acchiapparli, e ammise: « Mi sono ritrovata ad aprire conti correnti come cassetti. Lei non immagina cosa significhi ritrovarsi proprietari di così tanti soldi da non sapere come spenderli».
«Vorrei saperlo» si lasciò scappare il funzionario ma si ricompose subito, esortando la signorina a proseguire.«Ho indovinato sei numeri più uno…» disse a bassa voce. «Non sono neanche una giocatrice, non mi guardi come se fossi una di quelle che sperano nella fortuna: ho conosciuto mio padre e se  sapesse chi è mio padre non avrebbe dubbi su cosa penso di certe superstizioni. Non so come ma mi sono ritrovata in una galleria commerciale. Volevo comprare un paio di scarpe con il tacco a rocchetto basso e io non porto scarpe con il tacco a rocchetto basso, ma volevo constatare di persona se fossi stata in grado di comprarle, venendo così meno a certi miei principi, invece, eccomi in questo tabacchino a dire le prime sei date di nascita di attori e registi che mi venivano in mente, rendendole dei numeri giocabili. L’ho fatto per scherzo, quasi a deridere tutti i miei dogmi e il cinema, la cosa che amo di più, e ho vinto una cifra indicibile. Non posso sottrarmi a un auto giudizio etico ma, come si evince anche dai vari verbali, tutto è stato sempre fatto in modo tale da garantire l’incolumità fisica dei presenti. Mi sono sempre assunta tutte le responsabilità e ho sempre onorato le sanzioni imposte. Tutti quei soldi però… Ho già fatto così tanta beneficienza, ma quando ti ritrovi ad avere una cifra così il concetto di sottrazione perde di significato. Ma lei lo sa che aspetto ha la marmotta dell’isola di Vancouver?»
«No».
«Neanche io. Però ogni mese le giro un bonifico a quattro zeri per non farla estinguere. Ma non basta, capisce?»
«Signorina Merighi, quindi mi vuole dire che se ne va in giro a provocare sinistri solo per sperperare la sua vincita?» chiese il funzionario, fiero di aver usato il verbo sperperare e di aver dato poca importanza alla vincita.
«Non tutte, solo quelle di alta gamma, come ha detto lei» puntualizzò la signorina Merighi.
«E perché solo quelle?»
«Qui devo di nuovo chiamare in causa mio padre» disse come se si fosse trovata in quell’ufficio all’unico scopo di pronunciare quella frase, e si sistemò sulla sedia, assumendo una posa seria, differente dall’atteggiamento spensierato tenuto in precedenza.
«Mio padre era un uomo sommesso, grande lavoratore, ma a causa del suo carattere bonario tutti se ne approfittavano, però a lui andava bene così: aveva la sua Panda a consolarlo. La portava per le strade di montagna, fino al rifugio dove cacciava, pernici per lo più, oppure giù in paese ed era sempre contento che il rumore della marmitta preannunciasse il suo arrivo; le cose erano poche ma andavano avanti, come diceva sempre. Finché un giorno iniziò a fissarsi con la macchina nuova del vicino di casa, una Mercedes 240 SW dell’83, e non la finì più».
Il funzionario, che fino a quel momento aveva ascoltato senza troppo interesse, sembrò all’improvviso ritrovare una certa attenzione per le parole della signorina Merighi, sempre più presa dalla sua narrazione.
«Faceva grandi soliloqui, sempre davanti a mia madre, interrogandosi su cosa avesse spinto il vicino di casa a comprarsi una macchina tanto sfarzosa, tirando in ballo considerazioni ingegneristiche ed esistenziali sulla effettiva necessità di possedere un ABS o un airbag. Certe sere lo sentivo che, invece di dare la buonanotte a mia madre, le diceva: “La sicurezza del conducente? Ti sembra che la mia Panda non si sia presa cura di me? Un airbag, che cos’è se non un lusso? E poi è sempre sul vialetto a lavarla, a lucidarla, anche in canotta, perché lo fa? Non è arroganza?”» e la signorina Merighi si coprì per un attimo il volto con la mano, coprendo una lacrima o un sorriso.
«Mia nonna dice sempre che fu mio padre, a forza di parlare del vicino e della sua macchina nuova, a spingere mia madre da lui. Altri, all’epoca, dissero che la follia di mio padre era un modo per richiamare le attenzioni della moglie. Altri ancora che fosse troppo buono e che avrebbe dovuto imparare a menar le mani per farsi valere invece di fare tanti discorsi. Mia madre, il giorno del divorzio, mi disse che non è facile stare accanto a tanta semplicità, che lo avrei imparato con il tempo, che il vicino di casa era stato solo la famosa goccia che fa traboccare il vaso.  Da quel giorno mia madre non è più tornata sull’argomento, si è risposata con un altro uomo e non ha mai smesso di amarmi. Mio padre invece non si riprese mai».
Il funzionario aveva sempre più l’impressione che le parole della signorina Merighi in un qualche modo lo riguardassero, ma non riusciva a realizzare come, e questo allo stesso tempo lo infastidiva e incuriosiva.
«Iniziò a guardare con sospetto la sua macchina» continuava intanto la signorina. «La portò al rifugio in montagna e ce la lasciò e, con lei, rimase anche lui. Quando in lacrime mi diceva di aver visto dei cinghiali che gli erano sembrati più eleganti della sua Panda, lo confortavo promettendogli che avrei trovato quella Mercedes 240, da cui tutto era cominciato, e l’avrei distrutta, ma lui rispondeva sempre “Quando sarai ricca” e viste le nostre condizioni e prospettive doveva essere uno dei suoi modi gentili per eliminare quella possibilità. Invece… Mio padre non si fece più vedere in giro a bordo della Panda, quando doveva recarsi in paese, andava a piedi, anche il giorno in cui lo ritrovarono senza vita, circondato da buste della spesa, sopra una lastra di ghiaccio, che la trazione posteriore della sua Panda avrebbe tranquillamente attraversato».
La signorina Merighi si fermò di colpo. Il funzionario adesso la guardava con occhi differenti e il suo viso stava sempre di più assumendo uno strano pallore.
«Non è stato facile ritrovare quella Mercedes 240» disse la signorina Merighi guardando il funzionario dritto negli occhi. «Sono passati 37 anni. Nel tempo ha cambiato aspetto, forma, colore, cilindrata, ma avevo una promessa da mantenere, e soldi da spendere» poi si protese verso il funzionario, sempre più pallido, e con un sorrisetto severo disse: «E l’ho mantenuta, proprio questa mattina, proprio qua fuori, quando ho parcheggiato per venire da lei».

[Immagine di copertina di Diana Daniela Gallese]

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