Formiche

di Il Mondo o Niente

di Mara Abbafati


PutainJ’me sens comme une petite fourmi perdue dans l’univers intergalactique!

– La Haine, Mathieu Kassovitz

La testa mi cadeva all’indietro dal bordo ai piedi del letto. Mi ero sdraiato al contrario perché stare sul letto con i piedi al posto della testa e la testa al posto dei piedi mi faceva sentire meno caldo. Era una teoria basata sulla maggiore sensazione di frescura data da quella che si chiama suggestione, credo. Comunque non mi sono inventato niente, me l’aveva detto mia nonna.

«Cannetta?» disse Vancio entrando di prepotenza e buttandosi a sedere dalla parte della testiera.

«Come sei entrato?».

«M’ha aperto tu’ madre».

«Non fumo più».

«Ma che cazzo stai a di’?».

«Te l’avevo detto».

«Non mi ricordo per niente».

«E infatti non ti ricordi un cazzo».

Vancio veniva a scuola con me, ci eravamo appena diplomati e quindi adesso non lo so, forse ci saremmo iscritti all’università. Lui quasi di sicuro, quanto a me non credo. Era appena morta mia nonna e io mi sentivo un buco, ma non dentro, fuori. Tipo un gorgo che mi tirava giù, come lo scarico della vasca da bagno che quando è piena non te ne accorgi ma più si svuota più tira forte. Una cosa del genere, però non era limpido come l’acqua, per quanto possa essere limpida l’acqua dopo che uno s’è lavato, era nero.

«Allora te lo fai da lucido ‘sto funerale?».

«È meglio così, Va’. Poi ormai ho deciso».

«Senti, ma mica è per tua nonna? Tipo che stai a fa’ un fioretto».

«Te l’avevo detto tre settimane fa. Tre settimane fa non lo sapevo che mia nonna moriva così».

Mi alzai per vestirmi perché bisognava proprio andarci a questo funerale. Mia nonna l’avrei chiamata mamma se mia madre avesse fatto il favore di andarsene una volta per tutte invece di fare tira e molla: se ne andava, tornava e se ne riandava da quando ero piccolo. Solo che queste occasioni io non le reggo, condoglianze che vuol dire? preferisco una pacca sulla spalla che mi fa capire che ti dispiace, che in certi casi non c’è niente da dire. E poi non avevo voglia di vedere mia nonna morta, immobile, chiusa dentro una bara, preferivo ricordarla a modo mio.

«Se esci mi vesto».

«Capirai, t’ho già visto in mutande. Le porti le mutande, sì?».

«Vabbè, il concetto di privacy per te è ignoto» dissi togliendomi la maglietta dei Clash.

«No, perché se non le porti esco. Non vorrei rimane’ traumatizzato».

Gli unici pantaloni seri che avevo erano dei jeans blu scuro, un po’ troppo pesanti con quel caldo però di estivo avevo solo tute e bermuda, quindi scelta obbligata. Sopra avevo messo una camicia grigia che m’aveva prestato Vancio, perché a me di mettermi una camicia finora non m’era servito mai.

«Mi dispiace che è morta tua nonna».

«Lo so».

«E secondo me dovresti un po’ fumare».

«Perché mi devi sabota’ sta cosa che ho deciso di non fumare più?».

«Ma no, solo per oggi, è un momento di bisogno».

Mentre ci pensavo, a questa cosa del bisogno, mi infilai le scarpe da ginnastica senza slacciarle. Ero pronto, uscimmo dalla mia stanza che dava subito sulla cucina e c’era mia madre seduta che aspettava. Lì per lì m’era sembrata nonna, come se fosse invecchiata tutta insieme, un po’ curva sulla sedia con le braccia appoggiate sul bordo del tavolo mentre col pollice sinistro si grattava via una pellicina sull’unghia del pollice destro.

«Andiamo, ma’?».

Secondo me nemmeno lei sapeva più che fare se non c’era nonna. La capivo, forse eravamo uguali, ci serviva tipo una guida, come se nonna fosse uno sherpa, quelle guide nepalesi che ti accompagnano quando vai a scalare l’Everest. Loro lo sanno dove devono andare, come devono fare e se succede qualcosa sanno come comportarsi. Io e mia madre non lo sapevamo. Eravamo come formiche perse nello spazio intergalattico.

In chiesa c’era un sacco di gente, non ci volevo stare là dentro e la puzza di incenso mi faceva stare male. Io e Vancio uscimmo fuori. Dietro la chiesa c’era una porta arrugginita con tre gradini che sembravano fatti apposta per sedersi. Mi misi sul secondo mentre Vancio tirava fuori le cartine dalla tasca dei pantaloni.

«Questa ti fa bene».

«A Va’…».

«Valè, fidati di zio Vancio. È la cannetta d’addio».

Non avevo proprio le forze per dire ancora no, e poi ero giustificatissimo anche se mi stavo giustificando con me stesso che è una cosa ridicola. Me la fumai quasi tutta e non rientrammo in chiesa, restammo lì finché non iniziarono tutti ad andare verso il cimitero.

Requiescant in pace diceva la scritta sul cancello. Camminammo lungo un vialetto che portava a una serie di tombe di famiglia e dietro c’erano i colombari. Mia nonna la stavano mettendo al secondo piano, ad altezza uomo.

«Mettetela al contrario così sta fresca. Me lo diceva sempre “méttete da piedi così stai più fresco”» dissi ad alta voce mentre tutti si girarono a guardarmi. «È vero, me l’ha detto lei, se fa caldo ti devi mettere sul letto al contrario».
«Valè, ma che stai a di’? Vieni qua» disse Vancio.
«La devono mettere girata come piace a leeei» strillai.
«Era meglio se ti davo retta e non ti facevo fumare» mi bisbigliò con gli occhi sgranati mentre
mi metteva il braccio intorno alle spalle e mi trascinava lontano dalla gente. Mi stavano guardando tutti, ma che si guardavano, manco li avevo mai visti a casa nostra, ma chi erano? Ai funerali la gente si presenta così che manco conosce il morto, non so che c’hanno nella testa questi.
«Era troppo tempo che non fumavi, non dovevo insistere».
Stavo appoggiato a una macchina nel parcheggio del cimitero, seduto sul cofano rovente e quei jeans pesanti mi facevano bruciare le cosce. Vancio stava in piedi davanti a me, mi guardava con la testa inclinata e mi parlava come si parla ai bambini. Ma io stavo bene, non era perché avevo fumato, era il gorgo che mi tirava giù e non sapevo che fare, adesso come facevo a casa da solo con mamma? Era per questo che non volevo più fumare, mi sarebbe piaciuto vedere le cose con più lucidità, ma invece era uguale, stavo come prima.
«La dovevano mette’ girata come piaceva a lei».
«A Valè, te stai a fissa’».
«No, non sopportava il caldo. Per una volta la volevo fare io una cosa per lei».
«E poi d’inverno come faceva? Mica se poteva gira’».
Uscimmo dal parcheggio del cimitero, tornammo verso casa camminando sotto il viale alberato, all’ombra.


Illusrtrazione a cura di Domitilla Marzuoli

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